Non è facile descrivere a parola quello che si prova in un trail, soprattutto in quelli un po’ più lunghi dei
classici 21 km.
Alle 8 15, io e Carlo siamo alla partenza, con 5 ore di sonno, insieme ad altre 550 persone provenienti da
tutto il mondo. Ci godiamo l’attesa con lo speaker che illustra le varie nazioni e quelli che saranno i campioni
della gara. Sono emozionata, è una delle prime volte che provo una distanza così “lunga”, ma soprattutto
con così tanto dislivello. La gara parte, che il divertimento abbia inizio. Decido che, avendo “studiato” bene il
percorso, non avrei mai guardato l’orologio se non verso la fine, promessa che rispetterò. Una mandria di
persone allegre e colorate si addentra nel bosco, dove si sta un po’ stretti. Sento persone parlare in lingue
diverse, un dialogo in inglese che si conclude con “enjoy it”. Sorrido. Poi inizia la prima delle tre salite, verso
la Croda da Lago, e per me inizia un po’ di nervoso, non sopporto lo stare vicini, in coda, in salita, ho bisogno
di prendere e mantenere il mio ritmo. Da qui capisco che sono proprio “intabelata”, come usano dire i
Cavalli Marini. Arriviamo al rifugio Croda da lago situato a 2064 m dove troviamo un ristoro stratosferico,
come i seguenti, pieni di cibarie varie e talvolta “proibitive”. Il lago era immerso da una nebbiolina che
rendeva il tutto surreale. Comincia una discesa molto divertente, prima di avere la seconda salita che ci
porterà prima al rifugio 5 torri a quota, da dove si incroceranno i due percorsi della gara (23 e 38 km).
Continua la salita passando per le trincee e osservando le imponenti 5 torri che si alzano alte. Arriviamo al
rifugio Scoiattolo, dove devo trascinare via Carlo, prima che si abbuffi troppo, dopo una buonissima
vellutata di patate e zenzero. Cibi e bevande servite in contenitori biodegradabili, tanto di cappello agli
organizzatori. Riprende la salita sempre più in alto, verso il rifugio Nuvolau (2575 m), lungo parete rocciosa
abbastanza ripida, supero molti coi miei super bastoncini Decathlon da trekking da 20 euro (altrochè ultimo
modello in carbonio). Arriviamo su, fa freschetto, così mangiamo un po’ di zuppa di verdura e riempiamo il
Camelback. Scendiamo, ci soprassa saltellando il simpatico Ghedina, sciatore nazionale, facendo battute e
salutando tutti. La discesa ci porta al rifugio Averau, dove non possiamo non fermarci un minuto ad
assaggiare il tipico fricco coi porri (Carlo muoviti!). Girato attorno all’Averau, comincia la discesa e i percorsi
si separano, siamo soli. Scendiamo, saltellando da un sasso all’altro all’inizio, poi sull’erba e terra fino al
rifugio Col Gallina, dove per i più affamati era a disposizione pastin e sopressa. Passando per una specie di
torbiera, arriviamo al Passo Falzarego, dove ci attende lui: l’imponente Lagazuoi in tutta la sua bellezza. Da
qui inizia una specie di vertical, pochissimi km per un 900 di dislivello, gli organizzatori ci danno un caschetto
da roccia che servirà per la lunga e buia galleria di alti gradoni. Io e Carlo saliamo, guardando il paesaggio e
facendo qualche foto, fino a che non incontriamo la galleria, di quasi 1 km che ci porterò in vetta. Io penso
che i più forti sono già arrivati da mo’ e mi sento una schiappa. La galleria è affascinante, buia, ripida,
umida, mi intriga un sacco, da affrontare con prudenza tendendosi attaccati al corrimano in acciaio.
Usciamo dalla galleria dove l’area è freddina e volano i corvi montani, che non sembrano sentire il freddo.
Giriamo e saliamo un altro po’, vedo delle persone che vogliono scendere per la galleria in adidas e
giubbotto di pelle, appena scesi dalla funivia, che neanche salutano perché devono farsi i selfie, e mi lascio
sfuggire qualche commento con un altro trailer dietro di me che approva appassionatamente. Poi arriviamo
al rifugio Lagazuoi (2750 m) dove ci attende un ricco ristoro, io mangio un po’ di zuppa ai fagioli, Carlo
mangia come un bufalo perché si sente un po’ provato, prende dei sali e come per magia, torna in forma.
Tutti i ristoratori sono cordiali, gli altri trailerman sono simpatici, si ride, si scambiano battute “ciosoti contro
trevigiani” e si riprende, consapevoli di una lunga discesa di una decina di km. Io sto bene, mi diverto, penso
che correre in strada sia bello, ma correre in montagna è fantastico. Continuiamo a scendere, sorpassiamo
qualcuno e qualcuno sorpassa noi, dalla roccia si passa alle mughete, arrivando ai piedi delle Tofane, al
rifugio Dibona. Che dire, meraviglia a dir poco! Ultimo ristoro con le pastine degne di un re, prosecco, birra,
io e Carlo facciamo un brindisi con il prosecco con degli amici appena conosciuti, nel trail siamo quasi tutti
amici (a parte di quelli che buttano i gel per terra, io e Carlo ne abbiamo raccolti diversi lungo il percorso).
Salutati scendiamo zigzagando tra gli abeti. Poi guardiamo l’orologio, possiamo rientrare nelle 8 ore,
acceleriamo leggermente il passo, vediamo l’arrivo in una verde e soffice prato, e ci prendiamo per mano.
Tagliamo il traguardo a 7 ore e 55, la gente applaude, come applaude a tutti gli arrivi. Ci abbracciamo, siamo
felici. Prendiamo una birra al ristoro che non poteva mancare (Guja ti pensiamo!) e rimaniamo a goderci
qualche altro arrivo. Io rivivo i paesaggi, i momenti, i ristori, e penso che correre in montagna sia la mia vera
vocazione. Voglio continuare a correre, incrementare i km, aumentare le emozioni, io la montagna voglio
VIVERLA! In questo momento ho le lacrime agli occhi, perché so che non smetterò mai la mia ricerca, la
montagna non finirà mai di stupirmi. W la SANA montagna, vissuta a pieno e con coscienza.