Nella parte finale dell’articolo, trovate il bellissimo racconto del socio Pocci.

Maratonina

Davide Bomba (premiato)
Tempo reale 01:24:52.10

Massimo Perini
Tempo reale 01:32:52.85

Gianluca Salvagno
Tempo reale 01:40:45.45

Andrea Tiozzo
Tempo reale 01:42:10.80

Fabio Casson
Tempo reale 01:56:58.40

Edy Brentan
Tempo reale 02:05:32.85

Trail

Alessandria
Tempo reale  03:57:15.55

Romano Camiletto
Tempo reale 05:40:01.05

Briatore Carlo
Tempo reale 03:14:34.65

Anna Raule
Tempo reale 03:16:41.25

Giampiero Conte
Tempo reale 02:59:04.30

Wladimiro Costa
Tempo reale 03:27:36.55

Michele Chiereghin

Tempo reale 02:44:11.90

Sandro Scarpa

Tempo reale 03:15:16.05

Daniele Freguja
Tempo reale 03:23:58.70

Vivaldi Mario
Tempo reale 03:39:26.75

Leo Mosca
Tempo reale 03:39:28.20

Massimo Renier
Tempo reale 03:31:50.95

Claudio Salvagno
Tempo reale 03:57:45.80

Dario Scarpa (ecomaratona)
Tempo reale 05:39:01.05

Sandro Tiozzo (ecomaratona)
Tempo reale 07:00:50.15

Racconto ……

L’idea di iscrivermi a questa competizione risale a fine ottobre quando, pochi giorni dopo aver corso la 10Km della Venice Marathon ed ancora preso dall’euforia di aver corso in un palco così prestigioso, decisi di pianificare il mio calendario podistico del 2017.
L’idea era di correre almeno una gara al mese: ai primi di Marzo ci sarebbe stata la mezza di Treviso (partendo da Conegliano, ed abitando in questo paese da oramai cinque anni, avrei giocato in casa) , ad Aprile, non curante dell’acido lattico, esagerai iscrivendomi a tre competizioni in tre settimane (Maratonina dei Dogi per fare il mio PB, Mezza di Padova per “effetto nostalgia” avendo partecipato ad un paio di stracittadine quand’ero un giovane studente universitario, e il Venice Night Trail per la suggestione di correre di notte in una città che già di per se è unica), per concludere il 4 Giugno con la 30km della Cortina-Dobbiacco , affascinato dai video delle edizioni precedenti. 

Mi rimaneva “scoperto” Gennaio, mese dove sono sospesi i campionati di calcio per la pausa invernale (per chi non lo sapesse sono arbitro da 18 anni), e mese dove non ero riuscito a trovare nessuna manifestazione che mi attraeva come le precedenti.

Non potendo rimanere fermo per due mesi e mezzo tra Cittadella e Treviso, e desideroso di avere degli obiettivi che mi stimolassero ad uscire anche quando si sarebbe potuto rimanere a casa al caldo, decisi di chiedere consiglio ai “Cavalli Veterani” che, quasi all’unisono, mi consigliarono la Montefortiana (evento che avevo visto tra gli stand dell’expo della Venice Marathon e che avevo letto di sfuggita su numero della rivista Runner’s Wold).
All’inizio rimasi un pò titubante, quasi intimorito a causa dei “racconti epici” di chi aveva già partecipato (tra temperature artiche e salite degne da far parte dei tapponi dolomitici del Giro d’Italia, sembrava di andare incontro a morte certa) ma, dopo alcuni giorni di attenta valutazione dei pro e dei contro, e non curante dei consigli che mi raccomandavano di partecipare alla non competitiva di 16km, decisi che era una sfida che non potevo farmi sfuggire e così mi iscrissi alla competitiva Maratonina Falconeri.
Non volendo arrivare impreparato, e da vero “intabellao duro”, decisi di inserire qualche salita nella consueta corsa del martedi sera : all’inizio solamente una scalata della collina dove troneggia il castello di Conegliano, poi due volte ma con un ampio riposo tra le due fatiche, fino ad arrivare a tre salite, con altrettante discese, corse tutte d’un fiato e senza una pausa.
Non dovendo arbitrare durante i weekend, macinai chilometri su chilometri senza programmare la consueta settimana di scarico pre gara (in fin dei conti il mio programma di allenamento era finalizzato per arrivare al top della forma alla Half Treviso Marathon del 5 marzo) fino ad arrivare alla mattinata del sabato pre gara dove, come da tradizione, anzi, da scaramanzia, feci il mio consueto “warm up” blando di soli 5km. 
Il pomeriggio, dopo non poche consultazioni in whatsup, per evitare di trovare traffico e problemi di parcheggio (erano previste oltre 20.000 persone), e dovendo trovare un compromesso su chi sarebbe partito alle 8.00 (trail di 26km) e chi alle 9.30 (maratonina), ci si accordò di partire il giorno seguente alle 5.00.
Volendo massimizzare le ore di sonno, decisi di anticipare sia l’orario della cena che quello per andare coricare; ovviamente risultò tutto vano in quanto, tra l’ansia che non suonasse la sveglia (che tra l’altro mi ero dimenticato di regolare) e il mio bioritmo abituato a ben altri orari, alle 3.00 ero già sveglio e, come se non bastasse, mi accorsi che avevo anche smarrito una lente a contatto e che quelle di scorta erano ultimate: proprio un bel modo per cominciare la giornata…
Dopo aver caricato un mio collega arbitro, ci si trovò con gli altri compagni nel consueto punto di ritrovo alla Despar di Borgo S.Giovanni e, a seguire, al ristorante Cavallino di Conche; grazie al clima favorevole (cielo limpido e strade non ghiacciate), e parlando delle prossime gare che avremo disputato nei prossimi mesi, il tragitto in macchina filò via liscio senza alcun intoppo (mancava solamente che forassi in autostrada) e, dopo neanche un’ora e mezza, eravamo già usciti dall’autostrada.
Giocando d’astuzia decidemmo di uscire al casello di Montebello e, percorrendo delle stradine sperdute di campagna, arrivare ad est di Monteforte d’Alpone: in questo modo avremmo aggirato la massa di chi sarebbe arrivata dal casello di Soave: l’idea non faceva una grinza peccato che….
… Peccato che a guidare la carovana, e per motivi ancora ignoti, fu scelto il sottoscritto (forse erano a conoscenza che avevo lavorato per ben tre giorni in queste zone): facendo affidamento ciecamente al navigatore, e dopo aver percorso diversi chilometri di stradine buie e desolate, e rischiando di essere scambiati per una banda di ladri, arrivammo a….
… Arrivammo all’uscita del casello di Soave !!!!
Fortunatamente non essendo ancora le 7.00 di mattina, e non essendosi ancora formato quel torpedone di auto ipotizzato dai Cavalli Veterani, riuscimmo a trovare dei parcheggi relativamente vicini al centro di Monteforte dove era presenti sia l’expo che lo start della manifestazione.
Dopo aver ritirato i pettorali, e trovato conforto nel tepore di un bar vicino al Municipio, decidemmo di assistere ed immortale con un live in Facebook la partenza dei nostri “caprioli” impegnati nell’Ecomaratona Clivus (44Km con 1900mt di dislivello) e nell’Ecorun Collis (26Km e 900mt di dislivello).
Mancando ancora un’ora e venti alla partenza della nostra gara, mentre gli altri si dirigevano verso lo spogliatoi del vicino palazzetto dello sport per scambiarsi ed effettuare degli esercizi di riscaldamento, io decisi di aspettare l’arrivo di un caro amico universitario che era da ben otto anni che non lo vedevo di persona : in fin dei conti lo sport non serve proprio ad avvinare le persone lontane???
Tra infinite chiacchere, scambi di battute, e rievocazioni dei bei momenti passati da giovani, arrivarono le 9.00 senza accorgermi : anche questa volta, come un mese prima a Cittadella, ero l’ultimo della comitiva …
In quattro quattr’otto mi scambiai (mai e poi mai avrei pensato che, pur partendo da casa ben 4 ore e mezza prima dello start, avrei avuto i minuti contati per prepararmi) e, come riscaldamento, percorsi solamente quei 200m che separavano gli spogliatoio dalla linea di partenza (in fin dei conti, recenti studi, non affermano che effettuare stretching statico prima dell’attività fisica non comporta alcun miglioramento delle prestazioni???); neanche tempo di effettuare due allunghi nel viale antistante il palchetto dei giudici e, a mia insaputa, mi ritrovai intrappolato nella gabbia di partenza….
Essendomi posizionato involontariamente nelle prime file, e non avendo più la scusa del perdere tempo nel superare gli altri partecipanti, mi sentivo obbligato nel partire come un razzo per rendere grazie a questa “manna caduta dal cielo”.
Oramai mancavano pochi minuti, e dopo i consueti discorsi beneauguranti delle autorità e degli organizzatori, e l’immancabile Inno di Mameli (neanche fosse una partita della nazionale di calcio) furono finalmente scandite le tre lettere che tutti noi stavamo aspettando: V.I.A.!!!!
Corsi i primi metri in cui il rischio di inciampare e travolgere il vicino è assai elevato, e fidandosi ciecamente della previsione degli oracoli brizzolati (calcola cinque minuti in più rispetto al tuo personal best), mi francobollo al pacer dell’ora e quarantacinque minuti.
I primi due chilometri, comprensivi della salitina di 200m dopo 1800m, vengono percorsi senza alcuna fatica e, una volta arrivato in cima, mi si prospettano due scelte: una gara incolore, senza rischiare nulla, e seguire dei palloncini colorati di blu, oppure cominciare una cavalcata solitaria lunga 19km verso l’ignoto, in cui sarei potuto “saltare” a pochi passi dal traguardo.
Non ho alcun dubbio, non posso essermi allenato quatto volte alla settimana nell’ultimo mese, aver rinunciato alle prime partire del girono di ritorno di calcio, avermi alzato alle quattro, per seguire come un cagnolino al guinzaglio il proprio padrone: butto il cuore oltre l’ostacolo e, appena iniziata la discesa, allungo la falcata, saluto i pacer che mi avrebbero fatto da metronomo fino al traguardo, e comincio la mia vera gara.
I successivi due chilometri di pianura servono solamente per preparare le gambe e la mente alla vera fatica che mi sarebbe prospettata da lì a poco; ad un certo punto la strada gira bruscamente a sinistra e, facendo mente locale ai diversi video della manifestazione che avevo visto nei giorni precedenti , capisco immediatamente che stavano per cominciare i cinque chilometri e mezzo di salita.
Cerco di non farmi prendere dall’ansia e, memore dei consigli ricevuti da chi è più pratico del sottoscritto nel calcare questi percorsi, comincio a ridurre l’ampiezza delle falcate e a spingere con l’avampiede: stringo i denti, non controllo più il cardio e l’orologio (conoscendomi, vedendo le pulsazioni aumentare e il ritmo medio superare la soglia psicologica dei 5min/km, mi sarei sicuramente demoralizzato), e corro in apnea per i successivi 2,5km; nella successiva discesa, e conseguente falsopiano che mi avrebbe portato ad un 1/3 del percorso, non aumento il ritmo come fatto dopo dieci minuti dalla partenza, e dovendo ancora percorre circa 3km nei sentieri di queste colline veronesi, preferisco ricaricare le batterie e riprendere fiato.
Finisce l’intervallo e riprende l’esame: ogni passo, ogni tornate percorso, è impegnativo come il più infimo quesito che un professore ti possa domandare nell’ultimo appello della sessione e, non avendo “bigliettini” o suggerimenti del vicino che ti possano salvare in calcio d’angolo, non resta che far affidamento a se stessi.
Con non poche difficoltà, ed avendo pensato almeno un paio di volte di rinunciare a correre per cominciare a camminare come facevano le allegre famigliole che costeggiavano il lato sinistro della strada, come un miraggio vedo in lontananza una calca di persone e sento aumentare il brusio del rumore di fondo: trattasi del famigerato ristoro del decimo chilometro.
Colgo al volo un bicchiere di the caldo, ne bevo mezza sorsata (il resto, come al solito, prima di cadere per terra mi lava la mano destra), e penso che il difficile ormai era passato e, d’ora in poi, sarebbe stata una passeggiata arrivare al traguardo; mi butto giù a capofitto nella tanto agognata discesa e, il sentire l’incoraggiamento dei cavalli podisti intravisti per strada, e vedere i battiti e il passo medio che continuavano costantemente a diminuire, mi faceva aumentare l’adrenalina che scorreva nella vene e la voglia di correre sempre più veloce, non curante dei pericoli di poter scivolare in un tornante o franare davanti ad un passante.
Dopo quattro chilometri, corsi con una media di 4.20 min/km (ritmo che neanche lontanamente avevo avvicinato in allenamento), sarebbe cominciata la terza ed ultima parte della gara, quella che temevo di meno, quella tutta pianeggiante che, passando per il centro storico di Soave, e costeggiando un tratto di A4, mi avrebbe portato diretto al centro di Monteforte d’Alpone; dopo un paio di chilometri corsi assieme un gruppetto di 5 persone, cominciai ad avvertire i primi cedimenti nelle gambe, i primi dolori al lato destro del ventre, l’essere sorpassato dai vari runners che, fino a qualche istante prima, procedevano assieme allo stesso mio ritmo: inesorabilmente la fatica aveva cominciato a bussare alla porta della mia prestazione.
Anche se il mio Apple Watch mi diceva che ero ampiamente al di sotto dei fatidici 5min/km (che mi avrebbero permesso di arrivare all’arrivo con un time inferiore all’ora e quarantacinque), e mancando ancora 5km all’arco posto davanti al municipio, avevo il timore, anzi, il terrore, che la mia sensazione di spossatezza potesse generare, da un momento all’altro, in una vera e proprio crisi che mi avrebbe fatto camminare fino al traguardo.
Chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo, mangio la pastiglia di sali che avevo riposto nel taschino del tight e, con le ultime energie fisiche e mentali rimaste, per non perdere troppo terreno dai corridori che mi precedono, divido la distanza che mi separa all’arrivo in tante piccole “sotto gare” di duecento metri.
Oramai è un calvario, il respiro diventa sempre più ansimante, le gambe diventano sempre più dure, le braccia cominciano ad essere indolenzite ma, proprio quando cominciavo a perdere ogni speranza di poter superare l’obiettivo prefissato, scorgo all’orizzonte una cantina (nonché sponsor della competizione) che avevo intravvisto all’alba quando eravamo incolonnati per strada: mancava poco più di un chilometro, neanche sei “mini gare”.
Questa volta non avevo le forze, e tanto meno l’incoraggiamento di un compagno di squadra , che mi permettesse di accelerare e limare qualche secondo sul tempo finale: cercavo solamente di limitare i danni e di arrivare in condizione accettabili all’arrivo.
Ultima curva a sinistra e finalmente intravvedo l’arco giallo del 21km e poi quello bianco con il timer che scandisce il tempo che scorre inesorabile: gli ultimi passi sembrano durare un’eternità, gli ultimi 97 metri non finire più e, con il cuore alla gola, posso fermare il mio cronometro.
Alzo le braccia, non per esultare, bensì per controllare quanti danni avesse provocato la mia défaillance: l’orologio segnava 1h:42:27
La gioia, il senso di liberazione, la felicità arrivarono a livelli che, nelle competizioni precedenti, non avevo mai raggiunto: non solo avevo corso la mia prima gara su un percorso collinare ma, soprattutto, avevo ottenuto un risultato di ben due minuti e mezzo inferiore a quanto prefissato; tempo di riprendermi, e rimettere in moto il cervello per fare quatto conti, avevo capito che, continuando ad allenare come ho fatto negli ultimi mesi, nella prossima maratonina pianeggiate che avrei corso ai primi di Marzo, sarei riuscito a migliorare il mio P.B. e scendere sotto il “muro” dell’1h.38.
Corricchio direzione gli spogliatoi del palazzetto dello sport, che si trovava a qualche centinaia di metri, alla ricerca di un locale e di una doccia rigenerante, e noto che i Nostri Top Runners erano già lavati e scambiati: quasi intimorito gli chiedo come è andata e, dalle loro risposte (1h:24, 1h:32), mi rendo subito che, in loro confronto, sono un pivellino e il mio cammino è ancora lungo ( non so se basterà sudare le famigerate “sette camice” per almeno avvicinarmi alle loro prestazioni); ma tutto ciò non mi importa: la medaglia che oggi porto orgoglioso porto al collo per me vale tanto come quella d’oro delle olimpiadi.
Come da tradizione, prima di andare sotto la doccia, controllo sullo smarphone tutte le informazioni possibile del workout odierno (velocità media, tempo parziale su ogni chilometro, calorie bruciate, dislivello, etc..) e cerco di comparalo con le altre poche mezze che avevo corso: quell’ 1h:42 e briciole mi sembrava essere un tempo famigliare; cerco tra la cronologia e, denoto con immenso stupore, che il destino ha voluto che il tempo odierno fosse lo stesso registrato alla mia prima maratonina in cui avevo partecipato a settembre!!!!
Col sorriso tra le labbra mi dirigo sotto la doccia: il tanto atteso terzo tempo, con un succulento pranzo a base di bigoli fatti in casa, ci aspetta….
Imposto il navigatore ed arrivo nel locale in cui Edy, grazie alle sue infinite conoscenze, era riuscito a prenotare una saletta tutta per noi: non ci credo, era lo stesso ristorante (Trattoria Alla Rocca) in cui ero stato un paio d’anni prima e che tanto avrei voluto ritornarci proprio oggi!!!

Che esista qualche algoritmo che lega in maniera proporzionale lo stato di forma con l’altimetria del percorso?
Che sia entrato una finestra spazio/temporale e che ciò che penso è nient’altro una rivisitazione di quanto già avevo vissuto?
Che ci sia un legame in tutto ciò?
Che non sia una semplice fatalità?
Meglio non fantasticare con racconti all’Adam Kadmon e pensiamo ed entrare e passare un paio d’ore in allegria seduti intorno al tavolo e deliziati con dei manicaretti gustosi.
Tra affettati, formaggi, bigoli con quattro sughi diversi, litri di vino, sei tipi di dolci e l’immancabile ammazza caffè, riusciamo anche a far imparare il nostro dialetto ad un gruppo di alpini di Seregno che pranzavano nella sala adiacente alla nostra.
Oramai, tra pancia piena e gambe doloranti, ma con quel stato di euforia che solamente una giornata di sano sport ti può offrire, non resta che salutare i compagni d’avventura odierna e dirigersi ognuno alle proprie case, conscio che questo non sarà un addio: con tutte queste coincidenze vissute oggi, prossimo anno non potrò mancare!!!

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