32 VENICEMARATHON, il Racconto di Raffaele Fornaro –

L’attesa è (in)finita.

La scintilla è scoccata dopo la ormai mitica Camminà per Ciosa e Marina di quest’anno. Non avevo più dubbi e ho rotto gli indugi: mi sarei preparato per correre una maratona.

La prima attesa era finita, senza nemmeno sapere quando fosse iniziata, perché ormai correvo da tanto con la scusa di tenermi in forma.

Ho così acquistato il mio primo Garmin da polso (e, successivamente, completi da corsa e scarpe che nemmeno Paris Hilton), rinunciando a correre con la musica nelle orecchie e a scattare foto all’alba della spettacolare diga di Sottomarina, come mio solito (ne ho una collezione sul mio profilo facebook), per concentrarmi unicamente sul mio nuovo compagno di corsa: il mio corpo.

Gli allenamenti estivi mi hanno confortato e spinto a iscrivermi alla 32esima edizione della Maratona di Venezia; i lunghi mi hanno offerto un assaggio delle difficoltà che avrei potuto incontrare durante la gara, ma allo stesso tempo hanno confermato la bontà della mia decisione.

Ce la potevo fare.

Durante la settimana di rifinitura, ho limitato al minimo le azioni che avrebbero potuto disturbarmi durante la gara, evitando, soprattutto, gli eccessi alimentari. Ero consapevole che il successo o l’insuccesso di questa faticosa prestazione dipendesse in maggior parte dalle mie abitudini.

Il 22 ottobre arrivo prestissimo all’appuntamento con la Regina e cerco di incrociare lo sguardo di qualche volto familiare per sciogliere la tensione; dovrò attendere l’arrivo dei Cavalli Marini, capeggiati dal Presidente e dal Segretario, supportati dal solito nutrito gruppo di determinati runners al seguito, per scambiare qualche battuta e parlare delle condizioni meteo, sperando rimangano invariate.

Il tempo di indossare i pantaloncini e di bere un tè caldo, che mi farà effetto sulla vescica una volta entrato nella mia griglia di partenza (in realtà è una scusa per non ammettere a me stesso che fossi agitato), e l’attesa è finita. Parte l’Inno Nazionale, mano sul petto e si canta. Pronti, via!

Mescolato tra le migliaia di persone che mi corrono accanto, cerco in fretta di trovare il passo gara prefissato, sfruttando al meglio i bordi della strada.

La Riviera del Brenta appare meravigliosa, non più stordita dall’usuale rumore del traffico, ma musicata dalle voci della gente che incita noi podisti; i bambini che ti porgono le mani per battere il cinque sono un ristoro per lo spirito e mi fanno venire subito in mente mia figlia Lorenza: come rifiutare il loro tenero invito?

Finisco la Riviera senza avvertire il minimo disturbo (a parte il bisogno di far pipì, che mi porterò fino alla fine), tant’è che, da Malcontenta a Marghera, mi scappano un paio di… km (cosa pensavate?) sotto il ritmo gara; non cedo alla tentazione e mi rimetto in riga con quanto prestabilito: manca ancora tanto all’arrivo e ho imparato che anche pochi secondi/km sono fonte preziosa di energia.

Lo stomaco è bello asciutto; le mie narici vengono però messe a dura prova dal pungente aroma di soffritto che fuoriesce dalle finestre aperte delle abitazioni.

Percorrendo il Parco San Giuliano, mentre succhiavo il terzo gel da inizio gara, un’altra attesa si era consumata: quella dell’incontro con il trentesimo km. Per sdrammatizzare scambio una battuta con i gentilissimi volontari dei ristori; ho ancora tanto fiato, ottima sensazione. Raggiungo e supero i Pacers delle 3h20’. Le gambe reggono il passo, una piccola salita, una discesa e sono ormai avviato verso il Ponte della Libertà, che sembra davvero non finire mai, spoglio di gente, con qualche podista che inizia a fermarsi per massaggiarsi i muscoli pugnalati dai crampi. Tengo botta, inizio a pensare che sono quasi arrivato a Venezia, ma prima c’è il Tronchetto ed è lì che per un momento sembra che il fiato mi venga a mancare; allora, mi concentro, mi impongo di respirare a fondo e piano piano l’affanno sparisce.

L’attesa è quasi finita (nuovamente), pochissimi chilometri e dovrei vedere i miei fans che mi stanno aspettando, dopo aver partecipato alla 10Km, da qualche parte vicino al traguardo.

I temuti ponti li attraverso senza curarmi del passo gara; la gente in Piazza San Marco mi spinge verso l’arrivo con tutto l’incitamento possibile.

Lungo la Riva Sette Martiri controllo a destra e sinistra per vedere dove si sono posizionati i miei tifosi numeri 1: Giovanna, la mia compagna di vita e di corsa, mio fratello Emanuele e sua moglie Anna.

Mentre guardo verso la riva, li sento urlare al mio passaggio e ho appena il tempo di rivolgere loro il più meritato degli applausi e mi ritrovo praticamente al traguardo che segna 3h19’16”. Finita!

Mi consegnano la meritata medaglia, foto di rito, ritiro del pacco e vado incontro alla mia famiglia, che mi accompagna agli spogliatoi (dove, finalmente, avrò la possibilità di svuotare la vescica).

Orgoglioso come non mai, ho mostrato la medaglia a mia figlia e ricevuto da mia mamma un abbraccio pieno di significato e ricordi. Se ci fossi ancora, papà (Cavallo Marino doc), saresti fiero del mio risultato e anche un po’ felice che il tuo personal best sia ancora là da battere; ma ti prometto che mi darò da fare per abbassarlo.

Dicevo, all’inizio, che l’attesa era finita, ma mi accorgo che non è vero; c’è una promessa di migliorarmi e sono già pronto a ricominciare, con le prime corse defaticanti, con la prospettiva di affrontare una nuova maratona e di ricevere ancora il caldo sostegno dei miei familiari e dei nuovi amici runners conosciuti per l’occasione.

L’attesa è infinita.

Raffaele Fornaro.